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Corfù: la politica urbanistica tra Cinquecento e Seicento
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L'uso retorico dell'architettura, l'autocelebrazione, l'illustrazione delle virtù di un ceto dirigente illuminato che aveva conosciuto larghe fortune nella capitale e nei domini da terra, avviene in maniera assai limitata nelle terre del Levante. Un decreto del Senato  del 1550 aveva stabilito che il denaro pubblico doveva servire "schiettamente a quel fine al quale l'è ordinato, ch'è la fortezza e la sicurtà di esse città et luoghi nostri et non a pompa et ornamenti impertinenti". La Porta Reale distrutta nella seconda metà dell'Ottocento e descritta con toni entusiastici da Marmora nel 1672 ("Dietro il Rivellino  che fronteggia il borgo di S. Rocco si solleva una porta che di Reale ha il nome e la magnificenza, potendo concorrere di pari con le fabbriche più illustri o de' Romani o de' Greci"), costituisce, secondo quanto scrive Concina, "un'eccezione limitata e linguisticamente contenuta". Il solo atto architettonico posto dai veneziani che sembra assumere una risonanza simbolica sarà invece la piazza costruita verso il 1588 e ricordata da Marmora "con due cisterne nel mezzo copiose d'acqua e ricche per gl'intagli e le figure che le rendono più belle": dove la capacità delle istituzioni veneziane di fornire acqua alla città sembra poter sopperire alle carenze della natura, indicare la possibilità di imbrigliare una natura renitente.

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Rotta: Venezia e il Levante (sec XV - sec XVIII)
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